E Dio, che fa? Le domande dei ragazzi

L’INTERVENTO DI DON CLAUDIO BURGIO, FONDATORE DELLA COMUNITÀ KAIRÓS

Due ore di dialogo con un gruppo di adolescenti che ha alle spalle storie drammatiche

Diffido degli slogan. Li considero un modo superficiale per non voler guardare in faccia la realtà più scomoda e per cercare di gestire l’imprevedibile con la sensazione di poterne uscire senz’altro vincitori. Gli slogan, tanto ricorrenti in questi giorni tormentati, non sono in grado di reggere l’urto dirompente del tempo. Nella comunità Kayròs siamo abituati a confrontarci con le storie drammatiche di tanti adolescenti e sappiamo che non bastano gli «andrà tutto bene» a eliminare la paura di non farcela. Dopo un mese di rigida clausura trascorso con una cinquantina di loro, mi sono chiesto cosa fosse possibile comunicare ai ragazzi oltre l’irenismo di scritte e arcobaleni appesi ovunque. Davvero il nome della nostra comunità può essere ancora uno spunto per interpretare questi giorni così sospesi?

Kairós, in greco, significa “tempo favorevole”, “momento opportuno”. Come può essere vissuto un tempo così disperante come occasione favorevole? Serve un cambiamento di sguardo. Gli adolescenti con cui vivo sono solitamente considerati “cattivi”: non certo per un’atavica e congenita cattiveria, quanto perché imprigionati da logiche di potere, resi schiavi da bisogni compulsivi di consumo spesso indotti dalla società. In questo tempo lo sguardo di molti di loro, prima catturato solo da bisogni considerati irrinunciabili, si è posato sulla parte più autentica che spesso nei giorni “normali” rischia di rimanere nascosta: la loro umanità fatta di domande e di desideri grandi. È così che un giorno è nata da uno di loro la domanda delle domande, quella tenuta sempre fuori dalla porta perché considerata troppo ingombrante: “Perché la morte?”. In due ore di dialogo ci siamo detti che spesso facciamo di tutto per rimuovere questa scomoda intrusa e che, forse, tanti vissuti trasgressivi sono un modo per esorcizzarla. La spettacolarizzazione della morte è presente nella vita dei gio- vani attraverso i videogiochi e i social, ma in realtà la nostra cultura ha rimosso la morte dalla scena sociale. Oggi non si muore ma si scompare, si viene a mancare all’affetto dei propri cari, si passa a miglior vita… Molti ragazzi giocano con la morte in modo virtuale oppure la sfidano andando “oltre il limite”, facendo uso di droghe, guidando a velocità folle al rientro dalle

«Ho detto ai giovani che forse “non tutto andrà bene” ma concorrerà al Bene se sapremo custodirci l’un l’altro e ridare voce al nostro rapporto con la fede. Solo così “kayrós” diventerà tempo favorevole»

discoteche.

Dialogando con loro si è compreso che la morte non è un game over alla fine di un gioco che fai ripartire con un tasto.

Ci siamo detti che la vita, quando mostra il suo lato oscuro, è per riaprire lo spazio di una ricerca più profonda e per far riemergere questioni che erano state accantonate. Ci siamo resi conto di quanto siamo impreparati a morire e di quanti espedienti abbiamo bisogno per non affrontare la nostra fragilità. Ma chi riconosce le proprie ferite impara a domandare.

È così che, con mia enorme sorpresa, il nostro dialogo si è fatto nuova domanda: “Dio, dove sei?”. Questo tempo è diventato un

kairós anche per concederci la possibilità di una domanda radicale. “Dio esiste veramente?”, “Perché non fa niente per cambiare questa situazione?”, “Che senso ha vivere?”: interrogativi da accogliere lasciandosi colpire dalla loro vertigine. Anche la domanda religiosa, apparentemente così superflua nello scorrere frenetico dei giorni, si è ripresentata come risorsa preziosa per dare senso a questo tempo di paura. Sul tema del dolore – come della fede – non c’è un docente e un discente, uno che deve convincere l’altro per portarlo alla sua spiegazione. C’è un cammino da fare insieme, perché anche la fede è un processo dinamico e mai un possesso statico. In questo cammino siamo chiamati insieme a vivere una ricerca interiore mai esausta: come scrive il poeta Antonio Machado, è «camminando che s’apre il cammino».

Ho detto ai miei ragazzi che hanno sete di verità che forse «non tutto andrà bene», ma certamente tutto concorrerà al Bene se sapremo custodirci l’un l’altro e se sapremo ridare voce alle nostre domande più profonde e al nostro rapporto con Dio. Solo così il nostro kayrós diventerà tempo favorevole, opportunità incrollabile.

Comunità Kayròs

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Giovedì, 9 Aprile 2020