Lettera aperta ai papà della parrocchia

Carissimi papà,

oggi, festa di san Giuseppe è anche la vostra festa.  Bello per me scrivere a tutti voi, sollecitandovi a recuperare virtù e atteggiamenti educativi che Giuseppe incarnò nella sua, forse, breve ma intensa vita di sposo e di padre.

Cosa Gesù avrà imparato da Giuseppe? Di certo il mestiere del vivere, abitando la città degli uomini con passione, ma soprattutto entrando nel mistero di Dio Padre con abbandono filiale.

Solo un papà, infatti, può aiutare a comprendere il Padre per eccellenza, solo un papà può vigilare sui sentimenti educando alla forza e alla tenerezza, solo un papà può garantire protezione e sicurezza.

C’è un’opera d’arte che da sempre mi affascina: il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini “Enea, Anchise e Ascanio”, conservato nella Galleria Borghese a Roma.

L’episodio è narrato da Virgilio nel secondo libro dell’Eneide, ma Bernini lo interpreta con ampi ricorsi a spunti personali e significativi.

Nel fuggire da Troia invasa dalle fiamme, Enea si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise, che stringe tra le mani il vaso con le ceneri degli antenati. Il terzo personaggio è il piccolo Ascanio che, aggrappato con una mano alla veste del padre, porta nell’altra l’eterno fuoco che dal tempio di Vesta dov’è custodito accenderà in ogni famiglia la nuova vita di Roma.

Tre uomini di età diverse che l’artista con ineguagliabile virtuosismo tecnico rende visibile nella pelle dei tre soggetti: vellutata e morbida quella del bambino, vigorosa e turgida quella di Enea, molle e raggrinzita quella di Anchise.

Tre soggetti in movimento pur nell’immobilismo del marmo, in un intreccio di sentimenti che vanno dalla paura alla speranza, dalla delusione alla fiducia, dalla fatica alla tenacia, nella consapevolezza di aver bisogno l’uno dell’altro.

Lo stesso bisogno che abbiamo noi in questo particolare momento della nostra storia, chiamati ad essere, sempre ed ancora, padri fondatori della civiltà dell’amore, non gelidi come opere di marmo, non belli come corpi senz’anima, non perfetti come persone senza identità, non lucidi solo in apparenza, ma padri che lasciano vibrare nelle loro vene i fremiti del tempo, della fantasia, della bellezza, dell’arte.

Giuseppe fu l’uomo del silenzio, l’uomo del lavoro, l’uomo dell’ubbidienza.

Il silenzio lo rese profondo. Il lavoro lo rese serio. L’ubbidienza lo rese giusto.

Ogni figlio fa ciò che vede fare dal padre: è qui il segreto dell’educazione.

Ogni figlio è affascinato dalla voce e dai gesti di suo padre, quando esprimono amore, cura e tenerezza virile. Così si diventa modello cui ispirarsi nella vita, così si trasmette l’identità di figlio, da scoprire ogni giorno nella relazione con Dio Padre, in seno ad una comunità che prega senza vergogna e si esprime senza reticenza.

L’assemblea liturgica domenicale forgia le radici e forma questa identità.

Essere padri pur rimanendo figli: mi sembra questa l’interpretazione vera del capolavoro berniniano. Ogni padre crei questa profonda unità con suo padre, memoria viva del passato. Con la parola vigorosa e con l’esempio coerente trasmetta ad ogni figlio l’”eterno fuoco” della vita, salvando la propria famiglia dalle “fiamme” dell’odio e dell’indifferenza che tutto distruggono e tutto cancellano. In che modo?

Con un gesto molto semplice. Papà, imponete ogni giorno le mani sui vostri figli per invocare la benedizione di Dio

San Giuseppe vi accompagni in questa straordinaria opera educativa, che realizzerete, come il Bernini, con grande libertà ed interpretazione personale, ma soprattutto con professionalità e profonda spiritualità.

Il vostro Parroco