Lettera del Giovedì Santo

Carissimi,

in questi giorni prossimi alla Pasqua mi sono chiesto più volte: “ma i preti, oggi, sono ancora necessari?” In questo tempo di Coronavirus, con le chiese desertificate, i riti sospesi, le celebrazioni senza popolo… i preti, forse, non servono più?

Legata a questa domanda, un’altra ancora più radicale: ma il prete, chi è?

 

  1. Il prete è innanzitutto un uomo!

I sacerdoti, come ha detto Papa Francesco, non sono Superman, ma uomini con i loro pregi e i loro difetti, chiamati a rendere presente nella chiesa il dono della presenza di Cristo Salvatore nella celebrazione dei sacramenti. Come uomo, quindi, ciò che in questi giorni, ho sperimentato, come non mai, è stata la solitudine.

La solitudine del prete è messa in conto sin dal primo momento della sua chiamata.

Nei quasi 39 anni del mio ministero sacerdotale ho provato varie solitudini: la solitudine da incomprensioni –non condivisioni, critiche, giudizi-, la solitudine da ingratitudine –non apprezzato, né stimato o considerato– la solitudine da malevolenza –contestato perché semplicemente prete-, la solitudine pastorale –quando le comunità cristiane sono rimaste distaccate e indifferenti a ciò che si testimoniava e si annunciava– la solitudine ecclesiale – che ha radici nei rapporti con l’autorità ecclesiastica e con i confratelli sacerdoti-, ma mai, come ora, la solitudine dalla gente, mai l’isolamento dalle famiglie, mai la distanza dai ragazzi e dai giovani, mai l’allontanamento dagli anziani, dai malati, dai familiari,  dai parenti e  dagli amici.

Certo abbiamo potenziato gli strumenti per sentirci ed ascoltarci, abbiamo comunicato con audio e messaggi, siamo arrivati nelle case in diretta streaming, abbiamo realizzato gruppi per vederci e parlare, ma non abbiamo potuto né ci possiamo ancora abbracciare, incrociando gli sguardi per leggere paure e panico, consolare gli animi dolenti e raggiungere i cuori.

Riaffiorino i volti, quanto prima, e si intreccino di nuovo relazioni piene e vere, anche conflittuali, ma autentiche nell’espressioni più immediate, vive e appassionate.

“Perché piangi?” chiesero a Maria di Magdala i due angeli in bianche vesti seduti nei pressi del sepolcro vuoto (Gv 20,13).

Questa Pasqua ci restituisca il volto di una comunità bella, buona, felice, una comunità attenta e disponibile a camminare insieme, pronta ad attraversare il mare della vita dentro la stessa barca.

 

  1. Il prete è l’uomo che amministra i sacramenti!

Il Giovedì Santo, giorno in cui la Chiesa sosta sul mistero dell’Eucarestia, il presbitero ricorda il suo ministero e, quest’anno, vivendolo da solo, saprò accentuare, forse con più forza, tale evento, ma…

Ho sperimentato in questi giorni, come non mai, che i Sacramenti, senza il soggetto ecclesiale che è la comunità, pur esprimendo sempre la loro profonda realtà salvifica per la forza di Cristo operante in essi, sono stati impoveriti, privi, come erano, della forza del dialogo interpersonale, dell’animazione corale, della ministerialità laicale, della gioia che solo i bambini, i ragazzi, i giovani e gli adulti sanno esprimere e trasmettere al loro pastore.

In una parola, ho percepito tanta amarezza.

La Parola non ascoltata insieme e l’Eucaristia non condivisa, specialmente quella della domenica, hanno reso “amaro” il mio ministero.

Non plasmati dallo stesso Vangelo, impossibilitati a mangiare lo stesso pane, incapaci di condividere i nostri beni con i lontani e con i bisognosi che hanno continuato a bussare alle porte della comunità, ho affievolito la percezione di essere “famiglia di Dio”.

Come prete, infatti, mi sento un tutt’uno con la comunità, che mi è stata affidata dal Vescovo con il compito di custodirla, ma è altrettanto vero che è compito della comunità custodire il prete e farlo sentire “a casa”. La comunità è il luogo in cui il prete trova amicizie, conforto e sostegno umano nelle vicende liete e tristi della sua vita.

Questa Pasqua ci conceda di comprendere che dietro a un prete c’è innanzitutto una persona e come tutte le persone è da accogliere, da amare, da motivare e da perdonare, una persona con cui costruire la comunità.

“Ho visto il Signore” dirà la Maddalena ai discepoli di Gesù (Gv 20,18).

Sono i Sacramenti a fare i cristiani, ma è la celebrazione, partecipata in modo consapevole e totale, a fare la Chiesa e a realizzare pienamente sia il ministero di ogni prete, sia l’identità di ogni cristiano.

Il prete non è esente né dal virus, né dalla paura, né dalle fragilità, né dal peccato e la preghiera è stata in questo tempo il mio bisogno primario, per continuare a vedere che Cristo opera, ci sana, ci perdona e ci salva, per rinsaldare ed affinare la mia disponibilità verso i fratelli che la Chiesa mi ha affidato.

 

  1. Il prete è l’uomo della Pasqua!

La Pasqua è l’invito alla speranza, apre alla visione del futuro, che oggi sembra per alcuni oscurato o smarrito, per altri carico di sofferenza e di tristezza.

Nel proclamare la resurrezione di Gesù, il prete afferma che il cristianesimo è speranza per il domani, è vita certa, è fiducia incondizionata in Colui che, morto sulla croce, all’alba del terzo giorno ha lasciato il sepolcro vuoto.

Non mi trattenere… va’ dai miei fratelli e di’ loro “: è lo stesso Gesù a chiedere alla prima testimone della sua risurrezione di andare ad annunciare ciò che ha visto e udito (Gv 20, 17).

Una donna diventa apostola degli apostoli. Colei che era l’ultima agli occhi di tutti diventa la prima ad annunciare la storia nuova. Anche noi possiamo sperimentare e annunciare che di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che soffoca.

Solo l’Amore sconfigge la pandemia dell’egoismo, anche nel cuore del dolore, in quella strada che sembra senza uscita, dentro la solitudine e l’isolamento di questi giorni.

È questo l’annuncio vero di Pasqua. Abbiamo l’occasione di credere nella “forza debole” della fede, dell’amore e delle convinzioni. Quanto sono attuali le parole di Benedetto Croce:

«alimentare il sentimento cristiano è il nostro ricorrente bisogno,

oggi più che non mai acuto e tormentoso, tra dolore e speranza».

Inciderò, nella memoria, come credo ognuno di noi, l’anno che stiamo vivendo, una data che tutti ricorderemo e che si scriverà non solo nella nostra personale vicenda, ma tra i grandi e tragici avvenimenti della storia. Ma è soprattutto l’anno in cui cantare, ancora più forte e ad un’unica voce: Cristo, mia speranza, è risorto!   Sì, lo crediamo, il Signore è veramente risorto. Alleluia!  Buona Pasqua a tutti!

 

Milano 9 aprile 2020

Il vostro parroco